Negli ultimi decenni, il concetto di educazione interculturale ha guadagnato sempre più importanza nel contesto scolastico italiano.
Ma quando è emerso per la prima volta?
Possiamo risalire al 1990, quando una circolare ministeriale ha affrontato il tema dell’inserimento degli alunni stranieri nelle classi e ha introdotto ufficialmente l’educazione all’interculturalità.
La circolare non solo sottolineava l’importanza di accogliere gli alunni stranieri, ma forniva anche indicazioni su come integrare la dimensione interculturale in tutte le discipline e le attività interdisciplinari. In sostanza, l’educazione interculturale si basa sulla consapevolezza che i valori che danno significato alla vita non sono esclusivamente presenti nella nostra cultura, ma neppure solo nelle culture degli altri.
Si tratta di una prospettiva che ci invita a conoscere e farsi conoscere, rispettando l’identità di ciascuno in un clima di dialogo e solidarietà.
Questa concezione trova le sue radici nel relativismo culturale, un concetto sviluppato dall’etnologo Franz Boas nel XIX secolo.
Il relativismo culturale rappresenta un’alternativa all’etnocentrismo, ossia al modo di guardare alle altre società e culture con pregiudizi basati sulla nostra prospettiva.
Invece, il relativismo culturale ci invita a considerare le singole culture in modo comparativo, alla ricerca di principi comuni che possano unire le differenze.
Ma quali sono gli obiettivi e le buone prassi dell’educazione interculturale? Innanzitutto, è necessario agire su due fronti: il piano cognitivo, che riguarda la conoscenza e le informazioni sul mondo e sugli altri, e il piano affettivo, che si concentra sulla relazione, le interazioni e la storia personale di ciascuno.
I docenti, di fronte alla presenza di alunni stranieri in classe, devono coinvolgere l’intera comunità scolastica per valorizzare le specificità di questi studenti, sostenendone l’inclusione e promuovendo il loro benessere.
Ciò significa proporre attività volte a sensibilizzare le classi all’accoglienza e alla valorizzazione di ogni individualità, mantenendo un atteggiamento equilibrato in classe e prestando attenzione ai modelli culturali presenti nei libri di testo e nei contenuti didattici.
Inoltre, è fondamentale informare preventivamente i genitori e adattare i contenuti sensibili alle specificità degli alunni presenti in classe, creando eventualmente percorsi didattici personalizzati per soddisfare le loro esigenze di apprendimento.
Ma quali sono gli strumenti operativi più efficaci per educare all’interculturalità? Valorizzare le specificità e allo stesso tempo evidenziare le somiglianze è una strategia vincente. Le attività di confronto in classe, anche sotto forma di laboratori, possono essere un modo pratico per raggiungere gli obiettivi sia sul piano cognitivo che affettivo.
Un esempio concreto potrebbe essere l’organizzazione di una merenda di fine anno che metta in risalto la personalità di tutti gli alunni.
Questo compito coinvolge diverse discipline: dalla ricerca sulle pietanze tipiche di ogni nazione, che coinvolge la storia, alle scelte di design per gli inviti multilingue, che coinvolgono l’arte e le lingue straniere, fino alla preparazione di discorsi di benvenuto, che riguardano l’italiano. Inoltre, gli alunni avranno l’opportunità di gestire tempi e costi, sviluppando competenze matematiche.
Tali attività non solo favoriranno la comprensione dell’interculturalità, ma avranno anche un impatto positivo sugli studenti, consentendo loro di sviluppare abilità di project management e problem-solving.
L’educazione interculturale svolge un ruolo cruciale nell’apertura mentale e nella formazione di cittadini consapevoli e inclusivi.
Attraverso la conoscenza reciproca, il rispetto delle differenze e il dialogo, possiamo costruire una società più armoniosa e solidale. È compito di tutti, insegnanti, famiglie e istituzioni, promuovere l’interculturalità e creare spazi di crescita e arricchimento reciproco come facciamo quotidianamente noi di Stella Marina APS.